mercoledì 4 settembre 2013

Le mani

Talvolta sembra che ciò che amiamo di una persona si condensi in un unico gesto, in un dettaglio che appartiene all’altro ma diventa così profondamente nostro da essere in grado, da solo, di darci tutto il senso dell’amore.
Talvolta sembra che ciò ci sconvolge di un dolore si concentri su quell’unico gesto, che non vedremo più e che è in grado, da solo, di darci tutto il senso della perdita.
Le mani, prima di addormentarsi, lui le congiungeva sul petto, intrecciate, in una posizione di attesa composta del riposo.
Quelle mani mi avevano accarezzata, abbracciata, rassicurata, accompagnata ad affrontare la vita che avevamo scelto di dividere e che nel corso degli anni era cambiata nella sua forma, ma mai nei valori che ci accomunavano. 
Quelle mani avevano cercato amore, sostegno e conforto nelle mie.
Quelle mani avevano amato i nostri figli.
Quelle mani si erano congiunte in preghiera, le sue, le mie, le nostre, in una preghiera che non è stata ascoltata: se Dio mi è padre, dovrà spiegare a questa figlia disperata i motivi della sua crudeltà.
Nel momento in cui è iniziata la dissolvenza, il suo lieve staccarsi da noi, le sue mani si sono cercate ancora, per ricongiungersi sul petto in una posizione composta di attesa della pace, della fine di una lotta inutile, ma non sono riuscite a trovarsi.
Avrei voluto farlo io per lui, guidarle l’una verso l’altra, intrecciare le dita lunghe, pallidissime, ormai quasi fredde, in quella posa che tante volte, quando dormiva accanto a me, mi aveva fatta sorridere. 
Lo prendevo in giro, per come si addormentava, gli dicevo che si componeva immobile come un morto. 
Avrei voluto farlo io, ma non l’ho fatto, incantata alla sorpresa di riconoscere un gesto che credevo di avere dimenticato da quando non dormiva più accanto a me, paralizzata dall’enormità di quel gesto piccolo e impossibile.
Le mani non si sono trovate, si sono sfiorate, hanno cercato l’abitudine dove la volontà ormai era fuggita, ma la dissolvenza aveva sfumato tutto, e neppure un gesto semplice come intrecciare le dita gli apparteneva ancora.


Non credo che della sua morte ricorderò altro, non voglio ricordare altro che un gesto – che gli è stato negato- nel quale ora mi accorgo che era racchiusa anche la mia vita. 

< per Lele, a dieci anni oggi dalla sua morte>


Nessun commento:

Posta un commento

Tutti i commenti sono soggetti a moderazione e quindi non compaiono subito.