domenica 29 settembre 2013

Una razza canina poco conosciuta: l'Altotto

Benché sia presente sulla scena della cinofilia dalla notte dei tempi, l’Altotto è rimasto sconosciuto al grande pubblico fino ad epoca recente, pur restando ancora avvolti da un velo misterioso sia gli standard della razza, sia le sue origini.
In molti sono propensi a credere che si tratti di una derivazione del Beagle, frutto di una relazione fatale con un Bassotto Tedesco a pelo raso, altri al contrario vi ravvisano tracce di Segugio, se non addirittura del meno noto Beauceron, facendone quindi un cugino più minuto del Dobermann.
Al mistero sulle sue origini ha contribuito l’impossibilità di selezionarlo, poiché infatti cuccioli di Altotto si possono presentare con uguale incidenza nelle covate di qualsiasi razza, ma allo stesso tempo non è detto che tra due genitori Altotti nascano figli della stessa razza.
Questa particolarità, che fa dell’Altotto un cane di grande pregio, se da un lato lascia supporre una mappa genetica di caratteri recessivi e burloni, testimonia  come il suo più lontano antenato fosse un infaticabile tombeur de chiennes.
In ogni caso, il primo a tentarne una selezione e fissare approssimativi standard della razza fu il Barone Otto von Kragen nel 1870, che tuttavia su ventisette cucciolate di cani assortiti ottenne solo due Altotti purissimi; più fortunato fu l’allevatore francese Marcel Mordant, che riuscì a ottenere nel 1925 una linea di due generazioni di Altotti, benché di taglia piccola, ma alla terza si ritrovò con un cane basso, tarchiato, con le gambe storte e il muso schiacciato.
Conosciuto come cane da caccia, l’Altotto non solo è negato per questo sedicente sport -che detesta al punto da fingersi morto, o da simulare qualche malanno in occasione di ogni battuta-  ma rappresenta per i cacciatori una vera iattura, poiché se viene inserito in una muta, induce gli altri cani all’insubordinazione. Tra l’altro, non si capisce perché un gruppo di cani da caccia si chiami “muta” quando in realtà fanno un baccano del diavolo: sarebbe più appropriata chiamarla “abbaiata di cani”, ma tant’è.
L’utilità dell’Altotto si rivela principalmente come cane da restauro: dopo il suo passaggio, infatti, quasi tutto il mobilio di casa necessiterà di essere rimesso in sesto dalle abili mani di un artigiano.
L'Altotto è anche un formidabile cane da riporto: abituato a dormire sulla testa del padrone e a strappargli i capelli, lo costringe ben presto ad acconciare i pochi rimasti in modo da ricoprire artificiosamente le aree diradate del cranio.
Utilizzato inoltre fin da tempi remoti nelle manifatture, in particolare nel settore delle calzature come frollatore di suole e tomaie, e nell’industria tessile come sfilatore di tessuti, troviamo testimonianza di questa sua abilità anche nell’Odissea: la tela di Penelope, che la regina di Itaca tesseva durante il giorno, veniva infatti sfilata nottetempo da Argo, il fedele Altotto di Ulisse.
L’impiego ideale dell’Altotto resta comunque nelle biblioteche, dove si rivela un autentico divoratore di libri.
L’Altotto è un cane molto socievole, desideroso di attenzioni e di indole assai gelosa; fa amicizia con tutti, in particolare con i gatti, che nei primi mesi di vita, finché le dimensioni glielo consentono, imita in tutto e per tutto.
A causa di questa sua ultima caratteristica, soffre frequentemente di crisi di identità, pertanto è opportuno che nel primo periodo della sua educazione gli vengano forniti adeguati stimoli canini, se si vuole evitare che da adulto dorma sui davanzali, spicchi balzi sul tavolo, o venga a molestare mentre lavorate, stendendosi sulla tastiera del computer.
L’Altotto è un cane ordinato e testardo. 
Sottrae tutto ciò che state utilizzando e lo ripone nella sua cuccia, e se comperate un giocattolo per lui e uno per l’altro animale di casa -sia esso un cane, un gatto o un cammello- potete stare certi che vorrà quello destinato all’altro, e insisterà ad abbaiare finché non l’avrà avuta vinta.
Ha bisogno di molto movimento ed è un veloce corridore, aiutato dalla linea snella e soprattutto dalle orecchie pendule, che gli forniscono propulsione e un’adeguata areazione durante la corsa.
Non esiste un vero e proprio standard della razza, ma è indispensabile che abbia grandi orecchie pendule e vellutate, attaccate al lati della testa, occhi a mandorla scuri, bistrati e languidi, e che il muso culmini con un enorme tartufo nero dalle larghe narici.
Complessivamente l’Altotto è assai simile a un Bassotto con le gambe lunghe- da cui il nome- però è più grosso, ha le orecchie più tonde, il muso meno affilato, la coda più allungata -che viene tenuta alta come una bandiera- il pelo più morbido e la focatura più sfumata, pertanto, a guardarci bene, al Bassotto non assomiglia per niente.
L’Altotto può raggiungere anche un peso considerevole, ma esistono esemplari che non arrivano ai sei/sette chili, pur mantenendo una corporatura snella e vigorosa. 
Sono ammessi mantelli di tutti i colori.
Va alimentato in modo abbondante, ma equilibrato, poiché quasi sempre soffre di appetenza. Nella sua dieta non possono mancare anche frammenti di cartone da imballaggio, pellicola domopack, legno, calzini, cotton fioc, spugne, brandelli di riviste di enigmistica.

Nessuno è in grado di indicare un allevamento di Altotti a cui rivolgervi nel caso ne desideraste uno, pertanto è consigliabile, qualora aveste la fortuna di incrociarne un esemplare, di prenderlo immediatamente con voi: chi conosce un Altotto non potrà infatti più fare a meno di condividere le proprie giornate con questo straordinario e dolcissimo cane.


Gromit di Casa Bottoni Merli
Altotto di tre mesi

martedì 24 settembre 2013

La Creazione secondo il mio cane

All'inizio non c'era nulla, solo il Grande Altotto con il suo enorme osso.
Il Grande Altotto trascorreva il tempo infinito, nello spazio infinito, rosicchiando il suo osso, ma si annoiava.
Un giorno, sentì l’urgenza di deporre una grande cacca e, in seguito, di farci pipì sopra: aveva creato la Terra, con le montagne, le colline, tutti i suoi mari, i laghi e i corsi d’acqua.
Il Grande Altotto vide la sua creazione e ne fu molto fiero, pertanto desiderò popolarla.
Allora rosicchiò un po’ di osso e con esso fece gli alberi e tutte le piante, ma queste non si potevano muovere e la Terra era solo un altro posto molto noioso.
Il Grande Altotto però era molto stanco, quindi si addormentò e cominciò a sognare.
Sognò animali simili a lui, alcuni anche più grandi, o più piccoli, o senza zampe ma capaci di nuotare, o con due sole zampe per camminare e due grandi piene di piume per alzarsi nel cielo. 
Erano le figure strane dei sogni, con lunghi nasi, lunghi colli, o fatti di sola coda, o così piccoli, brutti e fastidiosi che il Grande Altotto desiderò nel sogno di avere qualcosa per spiaccicarli e quindi sognò una ciabatta, che era buona anche da rosicchiare.
Quando si svegliò, la sua enorme cacca cosmica era popolata di queste strabilianti creature, ma nessuna di esse sembrava poter diventare sua amica. 
Allora il Grande Altotto rosicchiò un po’ del suo osso e lo impastò con la saliva, poi prese a leccarlo tutto e fece un animale un po’ diverso da a lui, ma altrettanto bello e nobile, con unghie taglienti, e capace di spiccare salti, che chiamò Mamao. A forza di leccarlo sentì che Mamao prendeva vita e che dall’interno del suo corpo proveniva un suono bellissimo, che lo fece nuovamente addormentare.
Questa volta il Grande Altotto dormì abbracciato a Mamao ed insieme sognarono un animale a due zampe, con poco pelo, che aveva al posto delle zampe anteriori due braccia al termine delle quali c’erano delle mani calde, adatte a fare carezze, con delle piccole unghie, ideali per i grattini.
Quello fu un sogno bellissimo e quando si svegliarono, il Grande Altotto e Mamao promisero di dare per sempre il loro cuore a questa creatura e di essergli fedeli, anche se sapevano di esserne superiori, e così fecero i loro discendenti con i discendenti della creatura.
Alcuni di questi ultimi non vennero bene, per la verità. 
Molti non vennero bene, per la verità, ma i discendenti del Grande Altotto e di Mamao continuarono sempre a dare loro il cuore e la fiducia, perché hanno sempre saputo di esserne superiori. 


(Mito della creazione degli Altotti dell’antico Mediterraneo, dal Grande Libro della Saggezza Canina, ed. Woof)

Questo è Gromit, il mio cagnolino nato il 28 giugno 2013.
Gromit ha la mamma Beagle e il papà Bassotto, ma siccome lui ha le gambe lunghe, è a tutti gli effetti un Altotto.




mercoledì 4 settembre 2013

Le mani

Talvolta sembra che ciò che amiamo di una persona si condensi in un unico gesto, in un dettaglio che appartiene all’altro ma diventa così profondamente nostro da essere in grado, da solo, di darci tutto il senso dell’amore.
Talvolta sembra che ciò ci sconvolge di un dolore si concentri su quell’unico gesto, che non vedremo più e che è in grado, da solo, di darci tutto il senso della perdita.
Le mani, prima di addormentarsi, lui le congiungeva sul petto, intrecciate, in una posizione di attesa composta del riposo.
Quelle mani mi avevano accarezzata, abbracciata, rassicurata, accompagnata ad affrontare la vita che avevamo scelto di dividere e che nel corso degli anni era cambiata nella sua forma, ma mai nei valori che ci accomunavano. 
Quelle mani avevano cercato amore, sostegno e conforto nelle mie.
Quelle mani avevano amato i nostri figli.
Quelle mani si erano congiunte in preghiera, le sue, le mie, le nostre, in una preghiera che non è stata ascoltata: se Dio mi è padre, dovrà spiegare a questa figlia disperata i motivi della sua crudeltà.
Nel momento in cui è iniziata la dissolvenza, il suo lieve staccarsi da noi, le sue mani si sono cercate ancora, per ricongiungersi sul petto in una posizione composta di attesa della pace, della fine di una lotta inutile, ma non sono riuscite a trovarsi.
Avrei voluto farlo io per lui, guidarle l’una verso l’altra, intrecciare le dita lunghe, pallidissime, ormai quasi fredde, in quella posa che tante volte, quando dormiva accanto a me, mi aveva fatta sorridere. 
Lo prendevo in giro, per come si addormentava, gli dicevo che si componeva immobile come un morto. 
Avrei voluto farlo io, ma non l’ho fatto, incantata alla sorpresa di riconoscere un gesto che credevo di avere dimenticato da quando non dormiva più accanto a me, paralizzata dall’enormità di quel gesto piccolo e impossibile.
Le mani non si sono trovate, si sono sfiorate, hanno cercato l’abitudine dove la volontà ormai era fuggita, ma la dissolvenza aveva sfumato tutto, e neppure un gesto semplice come intrecciare le dita gli apparteneva ancora.


Non credo che della sua morte ricorderò altro, non voglio ricordare altro che un gesto – che gli è stato negato- nel quale ora mi accorgo che era racchiusa anche la mia vita. 

< per Lele, a dieci anni oggi dalla sua morte>