mercoledì 26 giugno 2013

Bidelle monelle, bidelle modelle

Fiorenzuola, Dicembre

Caro Spartaco, 
          quest’anno sono in servizio in una scuola elementare molto piccola e tutta al femminile, nella quale l'ambiente è piuttosto casalingo: abbiamo una cucina dove prepariamo il caffè e consumiamo la nostra merenda, possiamo confezionarci panini, c'è un frigorifero e c’è pure un fornello da campeggio. 
Naturalmente nella scuola lavorano anche alcune bidelle, con le quali il rapporto è molto informale perché ci si racconta fatti personali, ci si dà del tu, si ride e si scherza come appartenenti tutte alla medesima famiglia. 
Benché come occasioni di socializzazione non siano il massimo, tutto sommato mi piace, da un lato perché in un ambiente piccolo è sempre positivo avere rapporti amichevoli con tutti, colleghi e personale di servizio, dall’altro e soprattutto perché col mio carattere ritengo che sarei più adatta alla vita di Samoa che non ad un ambito gerarchizzato. 
Del resto la correttezza non è mai venuta meno: sapendo che le bidelle hanno mansioni di servizio ben precise e non certo quelle di stare dietro alla confusione che seminano le maestre quando fanno merenda, sono solita lavare il bicchiere in cui bevo, non lasciare carta in giro, vuotare il portacenere e prendere la scopa per raccogliere le briciole che cadono inevitabilmente dai miei panini con burro e marmellata. 
Martedì però ho fatto una figura da chiodi con una delle bidelle: lei e un'altra, nota erotomane che fiacca quotidianamente il marito per impedirgli di tradirla, sono venute da me con un opuscoletto pubblicitario di un parrucchiere per uomo, raffigurante un giovanotto del tipo "braccia rubate all'agricoltura" in posa da sirenetto e capello fluente. 
L'ho guardato distrattamente, visto che mi si chiedeva un parere:
"Eh, com'é? eh, eh...?"
Ho risposto secca : "Non mi piace" 
Poi, guardandolo bene, e poiché ho passato la soglia della cinquantina e quello di anni ne avrà avuti al massimo trenta, ho aggiunto : 
" Beh, due botte me le farei anche dare". 
La bidella più anziana mi ha fulminato con un: " E' mio figlio". 
Nel tentativo di riparare al danno l'ho guardata sconcertata e sono stata solo in grado di dirle: 
"Oh, beh, ora sai che mi farei dare due botte da tuo figlio". 
Fortunatamente la bidella madre del sirenetto e la bidella erotomane l'hanno presa in ridere, così siamo scivolate in un acceso dibattito circa il fatto che a me attizzano uomini decisamente sul bruttaccio, che un tipo come Depardieu mi provoca accelerazione sanguigna e palpitazioni e che gli uomini "tanto belli, come tuo figlio- che ruffiana schifosa- mi piace contemplarli ma in fondo mi sento più portata a palpeggiare qualcuno di più grasso e un po' più bestia". 
Era un falso, ma già un'ombra sulla mia moralità si è insinuata nell'animo delle bidelle.
Venerdì invece è successo un vero e proprio fattaccio.
Bisogna sapere che esiste una circolare della A.S.L. che impone di gettare nella spazzatura tutto ciò che avanza dal pranzo in mensa o dalla merenda, impedisce di tenere nel frigorifero alimenti freschi (latte, formaggio, giammai uova né tantomeno verdura) e preclude ogni possibilità di introdurre nell'edificio scolastico alimenti o bevande se non quelle provenienti dalle cucine comunali.
Le bidelle ignorano sistematicamente queste norme, conservando gelosamente ogni sorta di derrata alimentare: cioccolata, grissini, orrende merendine, frutta, formaggini, stracchino portato da casa, nonché avanzi del pranzo del giorno precedente che consumano loro stesse in cucina per non doversi pagare il pasto, di cui non hanno diritto, in quanto turniste.
Giovedì alla mensa avevano servito a novanta bambini ignari e abituati a vivere di mulinibianchi e kinderpinguí, un orripilante cavolfiore bollito, che evidentemente era risultato molto appetibile per le bidelle, che ne avevano conservato una gamella per il loro pranzo del giorno successivo. 
Venerdì la gamella di cavolfiore faceva bella mostra di sé sul termosifone della cucina. 
Quella mattina erano giunti a scuola alcuni incaricati del Comune che dovevano verificare le ragioni del disgustoso effluvio di discarica e oltretomba che ormai ci tormenta da settimane. 
Nessuna di noi pensava che avessero qualcosa a che fare con la mensa, e del resto questi erano già entrati nella fornitissima cucina, verificando con i loro occhietti astuti ogni sorta di irregolare scorta di cibarie, cavolo compreso. 
Io avevo appena messo in punizione un mio alunno, affetto da paraculaggine di grado medio-grave, perché mi aveva tirata scema per due ore durante le quali gli avevo fatto vedere solo l'1 e il 2 e lui continuava a dire qualunque numero, compresi quelli oltre la decina, le centinaia e il fantastilione, piuttosto che il 2. 
La punizione consisteva nel non fare merenda finché non avesse finito di scrivere una pagina intera di 2, che poi avrebbe dovuto leggere fino a quando non si fosse condizionato al suo riconoscimento come un cane di Pavlov. 
Il concetto di quantità l'ha capito benissimo, quindi si comporta così solo per mettermi alla prova. 
Il piccolo non mangia mai il secondo, né la verdura, ma spolvera solo enormi quantità di pasta. Per fargli assaggiare il cavolfiore avevamo dovuto nasconderglielo alla vista infilato dentro a una pagnotta.
Quando il poverino è giunto trionfante col suo quaderno di 2, d'accordo con un'altra collega gli ho presentato con aria soave la gamella di cavolfiore, dicendogli:
"Ecco, caro, ora ti posso dare la tua merenda" 
In quel momento esatto uno degli incaricati del Comune ha cominciato ad inveire: 
"Dove va lei con quel cavolo?"
Al che ho risposto candidamente che stavo facendo uno scherzo. 
La cosa è poi finita lì, ma dopo un po' la madre del sirenetto e l’erotomane mi hanno fatto notare che quelli del Comune avrebbero sicuramente trovato da dire per detenzione illegale di cavolfiore bollito in un plesso di scuola elementare. 
Mi sono scusata dell'involontaria gaffe, spiegando che non avrei mai potuto immaginare che costoro si occupassero al contempo di odor di fogna e di cavolo bollito (e qui risiede certamente un mio errore, determinato dal fatto che mi era sfuggita l'evidente consequenzialità tra le due cose), le bidelle sono state molto comprensive e l'episodio sembrava chiuso. 
Quando è arrivata la terza bidella, quella pelosa, è successo invece un finimondo: mi ha rinfacciato meschinità irripetibili, ha tentato di scatenare i miei sensi di colpa sottolineando che loro, povere bidelle, erano costrette a tenere da parte avanzi per potersi nutrire (in verità due sono grasse e la terza è consumata dalla frenetica sessualità), che lei, la bidella pelosa, aveva battagliato per farmi ottenere buoni pasto per motivi di servizio in caso di riunioni (e che? forse non mi spettano?), che in vent’anni di onorato servizio aveva ricevuto solo tre note disciplinari e che ora avrebbe sicuramente ricevuto la quarta, che avrebbero dovuto subire ispezioni di ogni tipo, dai NAS alla DIGOS, per verificare che in frigorifero non ci fossero stracchini non regolamentari e così via. 
Mi sono sentita un po' mortificata per aver involontariamente portato alla luce una loro evidente irregolarità e mi sono scusata, benché fosse già chiaro che mi dispiaceva e che non l’avevo fatto apposta, ma non ho avuto cuore di dire che la colpa non era tanto mia che avevo reso palese la presenza illecita di un cavolfiore bollito del giorno prima, quanto loro che non l'avevano gettato nella spazzatura, come da Circ.Min. e Reg.Com. n°XYZ/19XX. 
Morale : le altre bidelle mi salutano, ma la pelosa non più. Mi guarda con grugno truce ed è evidente che ora mi odia. 
Ne sono certa da due indizi inequivocabili: ha gettato nel lavandino tutto il latte che mi ero portata da casa per farmi il cappuccino -guarda caso solo il mio e non quello della mia collega Mirella, che usa una marca diversa- e improvvisamente, dopo anni di tolleranza, è comparso un cartello enorme in cucina che invoca una Circ.Min. e un Reg.Com. decretanti l'assoluto divieto di fumare nei locali della cucina e della mensa
Giusto, giustissimo, se non si può fumo all'aperto senza minimamente protestare : dura lex, sed lex, anche se si tratta di un atto di ripicca da parte della bidella pelosa, che si fa scudo della legge per punirmi del fatto di averle impedito di continuare a conservare abusivamente cavoli ed altre delizie simili.
Nell'ottica della guerra fredda, stamattina una mia collega mi ha proposto di presentarci a scuola con un trancio di pizza alle cozze, oppure con il classico pesce finto in salsa tonnata con occhio botulinico, ma io, con il mio carattere samoano, credo che glisserò nell'attesa che la pelosa si calmi da sé, magari conservando nell'armadietto delle scarpe un pentolino di prelibata verza bollita alla faccia delle Circ.Min e dei Reg.Com.
Spartaco amato, trovo tutta la questione una pura follia. 
Mi dispiace se le bidelle avranno qualche nota di rimprovero, ma certo non posso sentirmi colpevole se in maniera del tutto involontaria ho contribuito a far scoprire un loro comportamento evidentemente irregolare, che nessuna mai avrebbe sottolineato, né tantomeno denunciato, nell'ottica della massima e reciproca tolleranza. 
E, comunque, il cavolo era lì, ben in vista, occhieggiante dal suo pentolino.
Tutto questo parlar di verdure mi ha mosso appetito, perciò ti bacio e vado a cucinare due broccoli. Se ne avanzano, li terrò per la merenda di domattina.
                                Ti abbraccio, C.

                                                               


Fiorenzuola, oggi, Gennaio.

Spartaco!
Premessa doverosa: la bidella pelosa ha ripreso a salutarmi e a mostrarmi una singolare cordialità, pur continuando a fissarmi con espressione di sommo disprezzo e rivolgendomi la parola con voce leggermente alterata da un falsetto isterico. Tuttavia mi parla e mi racconta di nuovo fatti suoi.
Stamattina in compenso era incavolata nera la bidella erotomane - grazie al cielo non con me- per una questione ancora più imbecille di quella del cavolo bollito.
E' giunta a scuola furibonda recando con sé un enorme sacchetto colmo di scatole da scarpe, a loro volta contenenti le "calzature regolamentari" per bidelle, creazioni di pregevole design e alta tecnologia, obbligatorie a pena di sanzione per i piedi del personale di servizio nella scuola.
Si tratta di sandali bianchi in similpelle, realizzati secondo i dettami del prêt-à-porter griffato A.S.L., quindi con una certa pretesa di sobria eleganza : traforo discreto, piccolo motivo intrecciato a fasciare il collo del piede e zeppa di circa cinque centimetri.
Ciò che le rende indispensabili alle bidelle è nientepopodimeno che la punta interamente foderata in ferro.
Nell'ottica della sicurezza sul luogo di lavoro infatti, qualche intellettuale del Comune ha ritenuto doveroso proteggere le estremità inferiori del personale ATA da accidentali cadute di lavagne, che come tutti sanno cadono spessissimo e sempre sui piedi, anzi, sempre e solo sulla punta dei medesimi, perché nell'ipotesi che la lavagna cadesse sul tallone, che resta nudo, addio tendine d'Achille, ma una calzatura più sicura in questo senso sarebbe poi venuta meno ai dettami della moda del settore. 
Naturalmente la protezione riguarda anche cadute di piatti, accidentali pestate, ribaltamenti di banchi, crollo di infissi e smottamenti delle montagne di libri accumulati sulle cattedre: questi eventi, sulla cui frequenza non esiste alcuna statistica, coinvolgono invece con matematica sicurezza sempre e solo la punta dei piedi.
In effetti tempo fa si verificò un fatto del genere, che colpì un tal Bruno, bidello lamentevole che accusava sempre dolori immaginari: gli cadde effettivamente una lavagna su un piede, il poveraccio cominciò a urlare, ma fu sbeffeggiato dalle crudeli colleghe che credettero al suo reale dolore solo quando gli fu diagnosticata al pronto soccorso una frattura multipla.
Resta comunque l'unico episodio di cui si ha memoria.
Il fatto è che le calzature di sicurezza sono state progettate in un unico modello standard per bidelle di formato estremamente diverso, perciò ciascuna di loro, per un motivo o per l'altro, si trova impossibilitata ad usarle.
La madre del sirenetto, per esempio, è affetta da una leggera asimmetria delle gambe, impercettibile e corretta con adeguati plantari, ma che non le permette di indossare scarpe con la zeppa, perché perde l'equilibrio e si storce le caviglie. Pertanto, la madre del sirenetto sarebbe più sicura sul lavoro -che ne so- con un paio di calighe romane, che non le proteggerebbero l'alluce nel caso di caduta di lavagna, invero rarissimo, ma la preserverebbero dal caso, assolutamente certo, di quotidiane cadute dalle zeppe.
La pelosa, a sua volta, ha piedi che sembrano pani pugliesi, perciò la calzatura regolamentare le comprime il collo del piede, bloccandole la circolazione: è evidente che nel caso su un miliardo che crollasse una finestra, il suo alluce sarebbe salvo, però nessuno le potrebbe evitare il rischio di trombosi, statisticamente più probabile.
Del resto una scarpa con punta rinforzata in ferro non si può neanche sperare che si ammorbidisca come le scarpette da danza classica.
Credo, oltretutto, che tali scarpe siano anche pericolose per l'incolumità degli altri frequentatori della scuola: considerato per esempio il carattere pochissimo gioviale della bidella pelosa, se quella in un momento di stizza, statisticamente frequentissimo, molla un calcio sul sedere a qualche bimbetto, rischia di fratturare alla creatura tutte le ossa del bacino.
Nell'ottica della sicurezza sul posto di lavoro ritengo a questo punto che le scarpe di ferro spettino anche alle maestre, che si avvicinano pericolosamente alle lavagne molto più delle bidelle; inoltre avremmo diritto anche ad un elmetto, nel caso la lavagna cadesse non in verticale, ma con apertura a libro, schiacciando la testa della maestra che, seduta alla cattedra, ha la lavagna medesima alle spalle.
Poi sarebbero indispensabili delle ginocchiere, perché i bambini sono bambini e spesso un calcio lo si becca; sarebbe opportuno anche dotarci di mascherine antipolvere perché i gessi a lungo andare depositano su bronchi e polmoni strati e strati di subdolo materiale; poi dovrebbero fornirci guanti anallergici per evitarci irritazioni da gesso sulle mani, rottura delle unghie e deterioramento dello smalto; infine bisognerebbe preventivare per gli insegnanti maschi una conchiglia da rugby a difesa delle palle (vattelapesca quale traiettoria possa prendere la caduta di una lavagna e sarebbe obiettivamente imbarazzante, in una scuola in cui si va in giro con l'elmetto, le ginocchiere, la mascherina e le scarpe di ferro, ritrovarsi con un collega coi coglioni ridotti ad un paté).
Chi poi, avesse in classe bambini caratteriali o violenti, dovrebbe aver diritto ad una maglia di acciaio come minimo, forse anche di un giubbotto anti-proiettili, ma quello servirebbe a tutti, metti caso che qualche malvivente voglia entrare a scuola per rubare le scorte di cavolfiore o le stesse lavagne.
In ultimo vorrei parlare di virus e batteri: perché non dotarci, in ingresso e in uscita, di docce disinfettanti o di camere di quarantena come si fa per gli astronauti?
Mi rendo conto solo ora che faccio un lavoro pericolosissimo e che la mia salute e la mia incolumità sono quotidianamente minacciate da eventi imprevedibili.
Ho paura, molta paura.
Pensa se domani mi dovesse esplodere la cartuccia della biro, mi spruzzasse l'inchiostro negli occhi ed io, resa quasi cieca, nel tentativo di raggiungere il bagno sbattessi contro l'attaccapanni fratturandomi alcune costole, poi cadendo all'indietro rovesciassi l'armadietto in cui sono contenute le puntine da ingegnere le quali, sparpagliandosi per terra si conficcassero nelle mani della madre del sirenetto, a sua volta scivolata a causa della zeppa delle scarpe di sicurezza, e le scarpe stesse, con la loro punta di ferro, entrassero in collisione col mio cranio procurandomi un forte trauma... può succedere sai, davvero.
Sono terrorizzata. Vado ad assumere alcune gocce di ansiolitico per tentare di dormire...
                            Mi manchi, C.



Fiorenzuola, un giorno come un altro, Febbraio.

Mio caro Spartaco, 
               sono rientrata scuola dopo una lunga assenza e le colleghe mi hanno detto che il clima è insostenibile, perché da qualche tempo le bidelle sono in fermento, nervose ed intrattabili. 
E' arrivata infatti la fornitura di grembiuli nuovi, come ogni due anni, e anche tralasciando il fatto che si tratta delle divise ordinate sei anni fa, le bidelle non sono per niente soddisfatte. 
Anzitutto possiedono ancora grembiuli mai usati della fornitura precedente, materiale di ottima qualità indistruttibile nel tempo, tuttavia norme rigidissime vietano severamente l'uso delle vecchie divise dal momento in cui vengono consegnate quelle nuove, che nella fattispecie sono molto peggiori delle precedenti. 
Bisogna che tu sappia che la divisa regolamentare per bidelle prevede calzature e grembiule: le prime sono state accantonate in quanto camminare con sandali dalla punta in ferro dava loro la sensazione di avere incudini ai piedi; i secondi, cioè i gembiuli attuali, sono effettivamente  importabili. 
Il personale ausiliario viene fornito infatti di due tipi di grembiule: uno bianco da utilizzarsi durante il servizio in mensa, l'altro colorato, più sbarazzino, per svolgere tutte le restanti mansioni. 
Le vecchie divise bianche erano larghe e comode, per poter essere indossate sopra abiti e altri grembiuli; quelle colorate erano di tela a righe verdi, molto morbida e fresca al tatto, con colletto e linea dritta: sobrie ed essenziali. 
Quando sei anni fa si trattò di scegliere le divise dal catalogo, erano previsti solo grembiuli tinta unita, perciò la pelosa - che di sua beltà assai si fida- convinse le colleghe a optare per un simpatico verdino, che dal campione di stoffa pareva di una riposante tonalità pastello. 
Non era stata fornita invece alcuna indicazione sul modello, nella convinzione che sarebbe rimasto invariato. 
La nuova fornitura, confezionata da una ditta che ha vinto inspiegabilmente l'appalto con il Comune pur praticando il peggior rapporto qualità-prezzo, ha riservato parecchie sorprese. 
I grembiuli bianchi sono di un modello svasato e aderente, tipo quello delle infermiere dei fumetti per militari, adatto quindi a silohuette slanciate: tale modello può essere indossato solo dall'erotomane, che è giovane, sottile e ben fatta. La madre del sirenetto è decisamente sovrappeso ed ha un seno enorme, la pelosa ha la corporatura di Hulk Hogan, il lottatore di wrestling. 
Per di più sono state consegnate solo taglie 48, larghe all'erotomane e minuscole per tutte le altre. Sono state gentilmente restituite e chieste, con un certo ottimismo, alcune taglie 52, che indossate dalle due bidelle più corpulente fanno un effetto guaina impedendo la fluidità dei movimenti durante il servizio a tavola.
L'orgoglio femminile ha impedito loro di richiedere, con un atto di onestà intellettuale, taglie 56, che sarebbero state molto più congrue, soprattutto dopo l'inevitabile restringimento dei grembiuli conseguente al primo lavaggio in acqua bollente. 
I grembiuli verdi sono piuttosto singolari. 
Anzitutto gli stilisti del Comune hanno disegnato un modello senza colletto e con un carrè alto, circa a metà seno, tipico premaman, che indossato dalle bidelle più robuste produce l'effetto di far assomigliare la madre del sirenetto a un capanno degli attrezzi e la pelosa ad un gazebo. Inoltre il seno prorompente del nostro amabile personale, sottolineato dalla ricchezza del carrè, inevitabilmente riduce la lunghezza, pertanto i grembiuli risultano pure cortissimi. 
Il colore, evidentemente ingannevole sul campione, o modificato in sede di confezionamento, si è rivelato lo stesso verde smeraldo dei camici da sala operatoria, a lungo andare anche fastidioso per la vista. La stoffa, di qualità pessima, è quella tipica tela rigida che fa freddo d'inverno e caldo d'estate: al primo lavaggio si è stinta, a chiazze, producendo un bizzarro effetto maculato, tipo tuta mimetica. 
Dopo una serie di ingiuriose trattative telefoniche con la responsabile del Comune, la madre del sirenetto ha ottenuto di poter restituire i grembiuli verdi, fornire un campione della stoffa a righe di quelli vecchi e far confezionare capi da lavoro di qualità migliore, ma purtroppo non c'è stato modo di modificare il modello della divisa, se non aggiungendo una spanna in lunghezza. 
Attualmente tutti i nuovi grembiuli giacciono inutilizzati negli armadietti e sono ancora in uso quelli vecchi, ma le bidelle vivono nel terrore che, alla scadenza prevista, arrivino anche le altre divise, quelle ordinate quattro anni fa, nonché quelle di due anni fa: un centinaio di capi da lavoro di taglie sbagliate, colori improponibili e modelli fantasiosi. 
Tutto ciò darebbe luogo infatti ad una situazione curiosa in cui, stante l'obbligatorietà di indossare solo la divisa nuova, le bidelle si troverebbero paradossalmente nella totale deregulation , potendo infatti utilizzare un grembiule di una qualsiasi delle ultime forniture arrivate, diverse tra loro per foggia, colore e qualità. 
Tra l'altro quest'anno sono obbligate a scegliere e ordinare le divise che arriveranno tra due anni, e mi diceva la madre del sirenetto che gli anni passati avevano tentato di farsi mandare alcuni grembiuli corti, tipo giacchetta, che venivano confezionati con stoffa a fiori di varie tinte.
L'intenzione, dal momento che erano molto graziosi ma inutili a scuola, era quella di portarli a casa e tenerseli per uso personale, ma naturalmente quelli del Comune se ne sono accorti, e forse questa fornitura di dubbio gusto, pessima qualità e scarsa praticità costituisce una sottile punizione per le intenzioni truffaldine delle bidelle. 
La madre del sirenetto lamentava inoltre di non poter più valutare, grazie all'ampiezza delle nuove divise, eventuali segni di ulteriore aumento di peso, mentre con quelle vecchie bastavano un paio di chiletti in più per far saltare i bottoni: l'argomentazione mi è sembrata francamente un po' debole, ma lei era così convinta delle sue buone ragioni che non me la sono sentita di suggerirle l'uso di una comune bilancia pesa persone. 
Poiché le ho viste seriamente affrante, ho cercato di far veder loro i lati positivi della faccenda, quali la migliore circolazione d'aria sotto il grembiule in estate, ma mi veniva da ridere perché ho visualizzato le bidelle portate via da una folata di vento che gonfiava le divise come mongolfiere, benché in questo caso si sarebbero rivelate utili le scarpe in ferro, come zavorra. 
Ho reso partecipe la madre del sirenetto di questo mio pensiero, cosicché lei mi ha confessato che la settimana precedente le era caduto non so cosa su un piede, quando lei non indossava il sandalo regolamentare, le era venuta un'unghia nera ma non aveva potuto dire nulla a quelli della A.S.L., altrimenti oltre al danno avrebbe ricevuto anche una multa. 
Abbiamo riso così tanto che il giorno dopo, visto che ho avuto un giramento di testa, la pelosa ha estratto da un nascondiglio segreto della cucina un grande barattolo di Nutella, mi ha consegnato un cucchiaio e mi ha lasciata sola.
Ora mi vogliono molto bene, in fondo sono l'unica maestra che ascolta i loro problemi e mostra un po' di sensibilità per le loro questioni di servizio. 
Se un giorno dovessi venirmi a trovare, mio adorato Spartaco, fai finta di non sapere nulla, mi raccomando.
Anzi, magari fai loro un complimento per le divise tanto carine... 
                                        A presto, C.

<Trattandosi di opera di fantasia, ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale>





lunedì 24 giugno 2013

"Torcuato Sòlas tra psicanalisi e isolamento del simbolo" Guida alla Mostra

Di  Torcuato Sòlas (1869- 1941) si sa tutto e non si sa niente: tutto si conosce della sua opera e dei suoi più reconditi significati, sviscerati dalla critica nelle minime sfaccettature, quasi a voler sottolineare la poderosa statura artistica di questo pittore e scultore, nome imprescindibile nelle avanguardie romagnole del Novecento; niente si sa invece dell’uomo Sòlas, o comunque troppo poco per delinearne una biografia che non sfoci inevitabilmente nella leggenda, a partire dalla sua nascita -chi lo vuole uruguaiano, chi italiano che si ammantava di esotismo, con un nome e un passato inventati, documenti falsi e una storia da dimenticare.
Già ai tempi del Cenacolo di Porto Corsini, nella prima metà del secolo scorso, intorno al suo nome aleggiava il mistero, ma la sua opera era già così apprezzata da far sì che intorno a lui si raccogliesse il fior fiore della gioventù artistica romagnola dell’epoca, da Arnaldo Biserani a Dello Feltraro, per tacere di Agnieszka Worek Kapeć, scultrice polacca dalla quale avrà sette figli.
Certo è che per un lungo periodo soggiornò in Francia, dove venne a contatto con gli artisti del Banalismo Francese, senza esserne tuttavia troppo influenzato, se non per quel sens de l'absurde che rivisiterà alla luce della sua ineffabile ironia, facendone la sua cifra stilistica.
La prima fase del suo percorso artistico non ha nulla di lineare, sembra essere una continua ricerca di quelle forme assurte a simbolo di se stesse, che solo nell’ultimo decennio della sua vita troveranno il codice per comunicare ciò che fingono di non voler dire. 
Nell'opera di Sòlas la forma è dunque autosignificante, svuotata del significato legato alla rappresentazione mentale dei fenomeni, ma simbolo della costrizione sociale che vuole che tutto sia ciò che dichiara di dover essere. 
È riduttivo pensare alla realtà fenomenica come filtrata da specchi deformanti, perché per Sòlas la deformazione del reale avviene per svuotamento di significato e solo l’Arte può nuovamente conferire al mondo uno spessore oggettivo, poiché solo l’Arte è in grado di suscitare l’unica esperienza reale: l’emozione consapevole di sé.
Sòlas è pittore e incisore, ma è soprattutto nella scultura che il suo linguaggio acquista quell’incisività che gli è propria: l’artista venne certamente a contatto con gli strutturalisti russi, facendo propri i principi fondanti del movimento, ma non si piegò mai ad abbracciare completamente il loro rigore teorico, mantenendo per tutta la carriera il tratto eclettico che l’ha sempre distinto in ogni ambito.
Convinto fino alla fine che le pressioni sociali, che propongono in modo impositivo modelli per ogni fenomeno, siano alla base dell’alienazione dell’uomo del Novecendo, ridotto a pura immagine priva di senso del sé, si proclama mediatore, in quanto Artista, di una presa di coscienza assoluta e oggettiva, testimoniando questo ideale con la sua stessa esistenza: dal 1931, infatti, smette di parlare, lasciando l’onere comunicativo alle sue opere. 
In questo senso Sòlas non è più un comune artista, ma diventa l’archetipo della coscienza artistica salvifica e gnoseologica, poiché, come afferma Franco Piccione, "è proprio nel rendere ineluttabile la coscienza che interviene la mediazione dell'Artista, laddove l'uomo comune non è più in grado di scindere l'immagine dalla funzione".
Aldo Paletta dirà di lui “C’è più psicanalisi in Sòlas che nelle intere opere di Freud e Jung messe insieme”.
Credo che questa mostra di Gambettola offra un’irripetibile occasione per chi già conosce Sòlas di rispecchiarsi ancora nelle sue opere e per chi ancora non lo conosce, di conoscere in primis se stesso.
                                                                                         Ermete Paletta
Gambettola, giugno 2013

Nota del curatore: Nel presentare questo catalogo, ho voluto accompagnare le opere con aneddoti o commenti di chi ha conosciuto Sòlas personalmente, come mio padre Aldo Paletta, come Demetrio Malavasi, Attila Frustalupi, Rupert Musazzi, Franco Piccione e altri suoi contemporanei.

Opere pittoriche


"Qualcuno ha visto per caso la mia ciabatta?", 1928
olio su tela, 35x35 
collezione privata Bagno Armando, Cesenatico

“Una vera superficie algebrica, il ciabattoide quartico.” (Rupert Musazzi)
“La ciabatta singola dell’opera di Sòlas va letta come allegoria del destino dell’uomo moderno, condannato ad essere monco di una parte indispensabile di sé, pur nella sua individuale completezza”. (Attila Frustalupi)





"Due mosconi", 1932
matite colorate su carta, 20x40 
collezione privata Bagni Monello, Igea Marina

“Sòlas gioca sull’ambiguità dei significati nell’identità dei significanti: l’ominimia fenomenica trascende la raffigurazione mentale nel momento in cui ne scaturisce un’emozione sovrapponibile per intensità e, soprattutto, profonda consapevolezza” (Franco Piccione)





"Uomo affogato a Gabicce Mare", 1933
Acquerello su carta liscia, 45x 35
collezione privata Stazione Supercortemaggiore, 
km.114 s.s. 16 Adriatica.

“Il tema della morte viene interpretato da Sòlas in una dimensione di assenza: non sparizione, o mancanza, ma indelebile traccia di un passaggio che traccia non lascia. L’esistenza ne emerge pertanto illusoria, inesistente nei suoi aspetti meramente materiali, ma assoluta sul piano emozionale” (Franco Piccione, conversazione con Bruno Capello e Attila Frustalupi)






"Tre ciappetti", 1937
olio su tela di lino, 200x100
collezione privata Ferramenta F.lli Ciani, Bellaria


Nell'ultimo decennio della sua vita, quando ormai aveva esplorato tutte le avanguardie, rivisitandole alla luce del sens de l'absurde proprio del Banalismo Francese, Sòlas ritrova nel quotidiano la fonte di ispirazione che gli permetterà di realizzare i suoi maggiori capolavori.
Attila Frustalupi, davanti a questo incredibile dipinto, ebbe a dire:" Mi farebbero comodo", come a voler sottolineare l'urgenza esperienziale che attraversa tutta la pittura del Sòlas più maturo e, quindi, definitivo.






"Yin, Yang", 1939
Olio su tela 100x220
collezione privata Merceria Wilma, Cervia

“Al di là della mutanda, significante di per sè non a sua volta significabile, Sòlas ci mostra una realtà che non ha il coraggio di mostrarsi, tanto da perdere significato. L'esile sostegno che regge le mutande - vuote - è uno schiaffo all'ipocrisia che vuole nel simbolo l'essenza, ormai perduta a favore della mera apparenza”. (Aldo Paletta)





"La condizione umana, autoritratto", 1941
tecnica mista, 22x20, 
collezione privata Sanitaria Dott. Sangiorgi, Viserbella

Ormai prossimo alla morte, Sòlas dipinge questo capolavoro, sintesi di una ricerca portata all'estremo concettuale dell'opera d'arte come parte di un sè che si vorrebbe integro, ma che inconsciamente risente di quella raffigurazione sociale del sè che ne impedisce la libera espressione.
Si dice che Demetrio Malavasi, la prima volta che vide questo quadro, esposto postumo, svenne. Dirà poi: "Mi ci sono riconosciuto, come se mi fossi guardato allo specchio senza essermi mai visto prima" (Demetrio Malavasi, conversazione con Aldo Paletta)




"Il ventre della coscienza", 1940
tempere a olio su carta, 10x15
collezione privata Sanitaria Dott. Sangiorgi, Viserbella

Nel suo volume "Sòlas e la pittura eventuale", 1966, Edizioni d'Arte Aldo Paletta, Cesena, Demetrio Malavasi sottolinea come Sòlas risulti pessimista solo ad un'analisi superficiale, poiché in tutta la sua opera, caratterizzata da una profonda ironia, la condizione umana più che disperata, ne emerge irrimediabilmente grottesca ma, benché svuotata di un autentico senso di sè, in grado di osservarsi e di esprimere un giudizio inclemente e intellettualmente onesto laddove venga liberata dal desiderio di apparire.


Sculture



"L'eterno Femminino", 1929
scultura in metallo
collezione privata Casalinghi Ricci Luciano e Figli, Gambettola

“Il primo Sòlas scultore è già in grado di ridurre il segno all'essenzialità, in un impatto visivo ed emozionale nel quale lo spettatore non solo si identifica con l'opera, ma è l'opera stessa”. (Aldo Paletta)
"C'è l'eco dei ready-made di Duchamp, ma mediato da una profonda consapevolezza interiore, da una visione concettuale che anticipa la pop art". (Rupert Musazzi)





"Homo Homini Penis", 1929
scultura in metallo
collezione privata Casalinghi Ricci Luciano e Figli, Gambettola

"L'uomo di Sòlas è immerso in una irrimediabile solitudine, vittima di se stesso e della propria autoreferenzialità genitale. E' una visione cruda, critica verso il maschilismo dell'epoca, ma al contempo fiera, quasi eroica: è il ritratto del maschio guerriero per volere sociale, disperatamente aggrappato al potenziale del proprio pene". (Aldo Paletta)
 “...è proprio nel rendere ineluttabile la coscienza che interviene la mediazione dell'Artista, laddove l'uomo comune non è più in grado di scindere l'immagine dalla funzione. L’ uomo effettua infatti un'autopenetrazione, con il suo piccolo pene, nel grande pene sociale, immagine di potenza, ma castrante, in quanto vincolo alla propria identità di maschio”. (Franco Piccione)






"Pomposa di notte", 1931
scultura in metallo
collezione privata Casalinghi Ricci Luciano e Figli, Gambettola

"Sòlas paesaggista, nella pittura ma ancor di più nella scultura, svuota l'ambiente di ogni rumore di fondo, ed è in questo vuoto che può espandersi l'emozione e conferire alla forma simbolica una verità più autentica della realtà stessa." (Franco Piccione)
"... la slanciata eleganza del campanile, lama nel cielo, la moltiplicazione dei rosoni sulla facciata, a richiamare la luce solare e divina sui fedeli, il timpano trasparente, a dire che in questa casa nulla vi è da nascondere..." (Rupert Musazzi)





"Gravitazione Universale", 1937
scultura in metallo
collezione privata Ferramenta F.lli Ciani, Bellaria

"Sòlas scultore osserva la natura con lo stupore di un bambino e la interpreta con la disillusione dell'uomo moderno" (Attila Frustalupi in "Perchè investire in Sòlas, guida alla personale dell'Artista", Magazzini F.lli Ciani,  Bellaria, 1940, con il patrocinio di Aldo Paletta Edizioni d'Arte)
"Gravitazione Universale si regge su un supporto in resina trasparente, fortemente voluto da Sòlas per mettere in risalto l'idea dell'universo nel quale si muove ogni piccolo o grande sistema. E' interessante notare come l'Artista abbia voluto rappresentare la gravitazione in modo squisitamente meccanico, come se bracci metallici regolassero i rapporti tra i corpi celesti”. (Franco Piccione)





"La Piramide Sociale", 1937
scultura in legno e metallo
collezione privata Panificio Zaira Pane e Pasta, Cotignola

“Considerata l'opera più politica di Sòlas, rappresenta un atto di coraggio per l'epoca storica in cui fu realizzata e non pochi vi intravidero un messaggio e un incitamento alla ribellione rivolto al popolo, purtroppo grezzo e inconsapevole del proprio potere rispetto alla raffinatezza lucente delle classi dominanti. A causa di quest'opera Sòlas fu arrestato, interrogato e poi rilasciato, ma per un lungo periodo l'OVRA lo tenne sotto stretta sorveglianza. La reazione di Sòlas fu realizzare un dipinto con il medesimo soggetto”. (Demetrio Malavasi)



“Ettore”, 1939
scultura in metallo
collezione privata Casalinghi Ricci Luciano e Figli, Gambettola.

“ La sproporzione del corpo del guerriero, saldamente ancorato alla sua natura terrena, che non arretra di fronte alla paura della morte, sottolinea ancora una volta il ruolo sociale imposto all’uomo, che penalizza la coscienza di sé e lo avvicina allo spirito -emozione, pathos, empatia- solo con quell’artificiosa proiezione dello stesso sé costituita dall’arma, prolungamento del pene, ma altro-da- sé. Nel gioco dei ruoli, l’uomo non può che essere perdente se non capovolge il suo punto di vista e non si riappropria dell’essenza oltre la forma e l’archetipo” (Franco Piccione, conversazione con il suo psicanalista)




“Andromaca”, 1939
scultura in metallo
collezione privata Casalinghi Ricci Luciano e Figli, Gambettola

“...la donna con grandi seni, grande cuore e grande testa, reiterazione fenotipica della sfericità uterina, è interamente protesa all’accoglienza senza bisogno di maschere, quindi è la sola che può accedere alla realtà attraverso l'emozione. In questo Sòlas si può definire femminista ante litteram, eterno figlio, insaziabile amante, ammiratore della Donna-casa-rifugio-nutrimento, aperta in ogni poro a generare e ri-generare il maschio smarrito al quale la guerra non dà più occasione di riscatto emotivo.” (Franco Piccione, conversazione con Rupert Musazzi).


Torcuato Sòlas tra psicanalisi e isolamento del simbolo

Gambettola, 21 giugno/23 settembre 2013
Magazzino Casalinghi Ricci Luciano e Figli, Viale Risorgimento 31
Aperta dal martedì alla domenica, ore 10-19

Con il patrocinio di:
Fondazione Edizioni d’Arte Aldo Paletta, Cesena
Ferramenta F.lli Ciani, Bellaria
Casalinghi Ricci Luciano e Figli, Gambettola


<Grazie a Kees Popinga, Brother in Blog, che ha raccolto le testimonianze di Rupert Musazzi>